La fontana sgorga anche di notte
nonostante sia notte[1].
In sosta di fronte al presepe subito ci si sente avvolti da quelle parole: pace in terra agli uomini di buona volontà.
Chi saranno gli uomini del buon volere di Dio (gli uomini di buona volontà)?
Sono quanti accolgono l’invito a entrare in intimità con l’Altissimo, il Quale, assumendo il corpo di un neonato indifeso, ci insegna a non aver paura, neppure della croce, sulla quale ci ha preceduto.
L’esperienza dei pastori narrata ci sollecita a uscire dalla prospettiva limitata del nostro io individuale, non per replicarci in altri simili al nostro, ma per fermarci meravigliati come l’uccello che si posa sul ramo.
Quella notte l’antica religione di Israele ha celebrato il suo compimento, le antiche profezie hanno trovato lettura nella loro verità più profonda.
Cristo non nasce nel santuario del Tempio, la shekinah, la presenza di Dio tra il suo popolo, appare, invece, nel minimo della mangiatoia, delle fasce. Nel nostro nulla.
La Redenzione ripercorre il cammino a ritroso compiuto dall’uomo peccatore.
La religione è sembrata rompersi quella notte. Non solo rompersi, ma frammentarsi e volare in pezzi perché l’uomo con la religione è l’artefice di un sistema di contenimento dell’angoscia per il suo rapporto spezzato con Dio, ma è nella Fede in Cristo che risolve la propria dissociazione da Dio.
I pastori glorificano e lodano Dio (Luc 2, 20), i Magi adoreranno (Math 2, 11) e baceranno la polvere di quei piccoli piedi perché non rimane confuso chi confida nel Signore (cfr. Is 49, 23).
I pastori accolsero l’invito divino a superare la propria paura.
In quel frangente videro. Noi lo sappiamo. Quello che avevano imparato, non dovevano più apprenderlo, Lo vedevano.
Non sono i pastori che trovano il Bambino, sono gli Angeli che li vanno a cercare li accompagnano.
Non sono i pastori che vedono, ma sono portati fino a Betlemme per essere visti: la buona novella è annunziata ai poveri (Luc 7, 22d).
Il loro timore divenne visione luminosa (Luc 2, 20).
In quella grotta trovarono un Bambino e una donna, sua madre Maria, che essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto (Math 1, 18-19).
Il Vangelo non tramanda parole di Giuseppe. Pur essendo giovane, il sensus fidelium (sic!) lo ha rappresentato come un uomo di tarda età. Scelta non casuale che rivela come nell’immaginario dei cristiani fosse percepito lontanissimo e faticoso da comprendere l’uomo Giuseppe: tutto silenzio, tatto, lentezza, discrezione, attenzione al suo Dio notte e giorno.
Maria, parlando di sé, lo fa con sempre meno espressioni proprie (Luc 1, 46-55), scegliendo parole che nascono nel profondo silenzio di una vita di prossimità a Dio (Luc 2, 19),
Un silenzio rotto rare volte e di solito in occasioni puntuali, con nessuna o poche parole e pochissimi gesti (Jo 2, 1-11).
Noi cristiani nei secoli le abbiamo riconosciuto molti titoli, tra cui, recente, quello di Madre della Chiesa, domandiamoci se guardando oggi il volto della chiesa qualcuno può scorgere qualche tratto di somiglianza…
Maria, dagli occhi vuoti di cose e fissi al Suo Figlio.
La scena descritta nel Vangelo di Luca ruota intorno allo sguardo del Bambino.
La grande gioia annunziata, e che i pastori sentono l’urgenza di condividere (Luc 2, 18), è lo sguardo di quel Bambino che ci rende degni di Dio.
La maggior parte delle persone ne comprende poco o nulla; quello sguardo sembra perduto per loro. Altri ritengono di essere disponibili, ma la loro mente troppo affollata non penetra fino in fondo la Verità.
Dio cerca uomini di buona volontà[2] che accettino di perdere se stessi e rendere il proprio corpo identico a quello dell’Amato, perché Dio cerca l'immagine di Suo Figlio, morto per noi, impressa dentro di noi.
Saremo mai disponibili, io – tu, a un Amore così grande?
In Nativitate DNJXti.
A.D. MMXXIII
rogo boni lectores ut oretis pro clusino scriptore
[1] Parafrasi della poesia Quanto bene so la fonte in: Giovanni Della Croce, Tutte le opere, prefazione, saggio introduttivo, traduzione e note di Pier Luigi Boracco, Milano, Bompiani Il pensiero occidentale, 2010 pag. 237. Composta dal Santo nel periodo della reclusione del Santo a Toledo, negli ultimi mesi della sua prigionia. Ispirata forse dalla sua situazione notturna, la notte del carcere di Toledo, la sua sete ed il suo desiderio di Dio; e, forse, il rumore notturno del fiume Tajo che scorreva non lontano, ai piedi delle mura del convento del Carmine; ed anche la vicinanza, sentita con l’immaginazione della chiesa del convento. Cfr. Castellano Cervera, Jesús, OCD. La Fonte, Fiamma Viva. N.º 32, 1991, pagg. 133-155.
[2] Letteralmente del buon volere, cioè chi, accettando la pace portata da Cristo, comprende che questa pace non è frutto dell’opera degli uomini, ma esclusivo dono di Dio.