Ricostruire Montecassino
Dinamiche della pratica del digiuno eucaristico tra ricerca di Dio e ricerca di sé.
Ricostruir0e Montecassino
Dinamiche della pratica del digiuno eucaristico
tra ricerca di Dio e ricerca di sé.
I testimoni e le prove documentali ci tramandano che Gesù, poco prima di morire, predispose una cena durante la quale prese del pane e del vino, li benedisse, distribuendoli ai partecipanti.
Questo è il dato certo, come certo è che quei commensali non erano digiuni, né ci sono tracce che dovessero esserlo in qualche modo perché quella cena fu curata nei particolari (Mt 26, 17-19; Mc 14 13-16; Lc 22, 8-13) e del digiuno non esiste traccia.
Ben presto, però, i cristiani si prepararono alla ricezione dell’Eucarestia con un digiuno che nella chiesa latina[1] fu caratterizzato dall’astensione del cibo e dell’acqua dalla mezzanotte[2].
Comprendere come mai e da dove quest’osservanza particolare possa aver tratto origine, è una storia affascinante.
Nel 1953 con una decisione senza precedenti[3] questa pratica fu soffocata, eradicata; è una storia dolorosa, ma non meno priva di fascino.
I. Il digiuno: uno specchio dell’anima
La nostra società considera il benessere raggiunto uno stato di cose normale, certo e ulteriormente migliorabile. Agli occhi di quanti non appartengono a questa società, o ne sono esclusi, emana un luccichio così desiderabile da far rischiare la vita pur di poterlo ottenere.
La sua opulenza si misura curiosamente (e ne rappresenta anche la sua cattiva coscienza) dal bisogno di digiuno come prassi di buona salute, giovinezza più o meno eterna e (illusoria) credenza di controllare il proprio corpo. Da cento anni a questa parte il digiuno è anche una prassi politica contrabbandata come ‘non violenza’ nei confronti del potere costituito sul quale s’intende esercitare una pressione grazie al supporto mediatico.
Rimane ancora oggi, nonostante tutto, anche una prassi religiosa attraverso cui alcuni, a imitazione del disneyano Braccio di Ferro (Popeye), fondano sicurezza e identità sui muscoli della propria santità.
Il digiuno nel mondo contemporaneo porta in sé quindi un approccio inverso rispetto a quello praticato dalle generazioni passate quando la maggior parte degli uomini non aveva la certezza che al pranzo seguisse necessariamente la cena. Il digiuno rappresentava una ‘sottrazione’ impegnativa.
Era un tempo in cui l’uomo si percepiva come portatore di doveri in primo luogo, non di diritti e non esistevano assicurazioni o sistemi previdenziali a curare o procrastinare la precarietà dell’esistenza.
Si potrebbe obiettare che il digiuno ‘consacrasse’ una situazione di fatto; l’uomo antico riteneva con la pratica del digiuno di poter consacrare se stesso alla divinità per essere ricolmato dalla Sua presenza.
L’uomo contemporaneo, anche quello religioso, invece, digiuna per se stesso perché gli riesce quasi costitutivamente impossibile porre in atto un’azione dalla quale non riesca a trovare alcun giovamento.
L’impegno ascetico come cammino di conoscenza del Creato ha subito uno stravolgimento della percezione, diventando ricerca sfrenata della propria soddisfazione (anche spirituale) nel mondo.
Tutti noi, oggi, siamo segnati da questo modello culturale.
Una riflessione sulla prassi del digiuno eucaristico non può che tener conto di questa realtà sociale. Accostare il tema del digiuno eucaristico implica in via preliminare il dovere di chiarire la specificità del messaggio evangelico, elemento divenuto tutt’altro che scontato.
II. Chi dite che Io sia? Recuperare la Verità
Il cristianesimo non è nato come una religione delle osservanze, è un annuncio, un invito alla Fede[4] in Cristo come unico Salvatore.
Questo fu il suo impatto dirompente! Ricordiamo che la religiosità non comporta necessariamente la fede; l’uomo antico era religioso perché immerso nella trascendenza, ma la pretesa della Fede richiesta da Cristo scandalizzò non solo gli ebrei la cui fede era ‘tutt’uno con l’osservanza della Legge, ma anche i pagani che erano soliti accogliere con curiosità e tolleranza le nuove espressioni religiose.
Il comandamento nuovo introdotto da Gesù non fonda la sua novità nell’amore verso gli altri, pratica già conosciuta da Israele, ma nel come Io vi ho amati, cioè nello spostamento dell’atto religioso dalle osservanze alla persona di Gesù, alla quale è chiesto di affidarsi.
Al contempo Gesù non cessa di ripetere che è non venuto ad abolire la Legge, ma a compierLa. Lo strumento del suo compimento è la Fede. La disputa con Israele nasce in questo ‘luogo teologico’ e per questo Gesù si definisce il signore del sabato. Dobbiamo comprendere in quali termini.
L’impero romano era uno spazio di tolleranza per tutte le religioni e gli antichi erano affascinati dai riti. Il rito svolgeva una funzione essenziale come veicolo sociale di contenimento della paura che nasceva dall’insicurezza dovuta alle forze della natura, all’inesplicabilità del potere politico, agli eventi nei cui confronti l’uomo si sentiva del tutto inerme e indifeso.
La nostra realtà sponsorizza l’inseguimento della sicurezza con ogni mezzo e non ci rendiamo dello stato di esposizione alla precarietà in cui tutti vivevano nell’antichità, persino lo stesso imperatore.
La richiesta di abbracciare la Fede, abbandonarsi totalmente ad Essa, rappresentò un abbandono di sé dai connotati rivoluzionari, attraverso cui molti convertiti scoprirono una forza interiore galvanizzante che assumeva una connotazione di liberazione nei confronti delle fonti di paura, dalle quali si sentivano oppressi.
Il cristianesimo non poteva che apparire rivoluzionario e destabilizzante, ma la storia lo ha infrollito.
Il fatto che non fosse una religione di osservanze, ma di Fede, non eliminò la necessità, intrinsecamente umana, della ritualità, la trascese e le diede compiutezza pur nei limiti della creaturalità.
Il messaggio di Gesù non si contrappone alla Legge, ogni Suo gesto la porta alla massima fioritura, fino all’ultimo iota.
Ne potrebbe essere esempio il momento della Risurrezione. Non è occasione di meditazione che Gesù risorga ‘trascorso il sabato’[5], giorno consacrato a Dio perché da Lui benedetto (Gn. 2, 3a)?
Qui dovremmo cogliervi la signoria di Cristo sul sabato.
E’ possibile affrontarle la questione delle dinamiche che hanno dato vita alla pratica del digiuno eucaristico attraverso una prospettiva scientifica (storico-critica) che al suo attivo ha molte benemerenze, ma anche un seme di alterigia che la porta a presentarsi come un sostituto della stessa Fede.
Oppure una prospettiva che si potrebbe definire di ‘ripescaggio’[6] che, a fronte del disorientamento attuale, ritiene di dover prendere dal passato (ma con quale criterio oggettivo?) ciò che sembra poter colmare il vuoto che si è creato. La pratica del digiuno eucaristico nella chiesa romana fu pratica privata, ma anche comunitaria, di rilevante identità ecclesiale. Scegliere una via piuttosto di un’altra (la Tradizione, Pio XII, Paolo VI o il niente) misconosce le radici ecclesiali di quest’uso che affondano nella Tradizione.
Elemento imprescindibile della Tradizione è la consapevolezza che nella Chiesa, il Corpo di Cristo, io non prendo, io non (ri)costruisco, io non aggiorno: perché noi riceviamo in dono, esclusivamente.
Da ultimo è possibile intraprendere la prospettiva delle responsabilità. Aver distrutto la Tradizione ci espone alla più profonda di tutte le esperienze spirituali. La sua radice affonda nella consapevolezza che, sull’esempio dei martiri, quando accettiamo di essere soli, la nostra solitudine man mano sarà abitata.
Possiamo solo volgerci alla Tradizione e chiedere a gran fatica a Dio che ci conceda di comprenderne l’afflato profondo senza dimenticare mai ciò che nel frattempo siamo diventati.
III. Le dinamiche dello sviluppo di una pratica
Possiamo individuare alcuni momenti focali:
Il comportamento di Gesù nell’istituire l’Eucarestia non indica la necessità di alcun digiuno perché il pane e il vino consacrati sono offerti durante una cena;
I primi secoli in cui prende avvio la pratica del digiuno;
La testimonianza di Agostino che riflette un uso sereno e condiviso del digiuno eucaristico nel suo tempo;
La modifica della prassi ultramillenaria del digiuno compiuta da Pio XII.
III 1 Il compimento della Legge
I Vangeli documentano che Gesù ha digiunato[7] e, in determinati casi, ha sollecitato il digiuno ma anche che ha dato disposizioni per l’ultima cena in comune con i discepoli [di Pesach[8] (Sinottici) o d’addio (Giovanni)] senza far cenno alla necessità di alcun digiuno.
Questo sono dati incontrovertibili.
Analizzando l’idea di Gesù sul digiuno potremmo scoprire, forse, che il digiuno eucaristico che i cristiani (latini e orientali) hanno ritenuto di dover compiere non era un atto di devozione compensativo di un vuoto, ma possedeva un profondo radicamento biblico.
La discussione di Gesù sul digiuno emerge con precisione leggendo il Vangelo di Marco al capitolo 2, 18-22[9] (testo anche riportato, sebbene in modo più sobrio, da Mt 9, 14-17 e Lc 5, 33-39).
Per comprendere ciò che Gesù afferma occorre inquadrare la pratica del digiuno nell’Antico Testamento. Nell’antico Israele il digiuno aveva una forte connotazione di lutto (I Sam. 31, 13; II Sam. 1, 12); era prassi per fronteggiare un pericolo (II Sam. 12, 16; I Re 21, 27); preparazione a una rivelazione divina (Es. 34, 28; Deut. 9, 9, 18; Dan. 9, 3). Il digiuno individuale era comune tra i primi ebrei (Num. 30, 14) per "affliggere l'anima". Più frequenti, tuttavia, erano i digiuni occasionali istituiti per l'intero Israele specialmente quando la nazione si credeva sotto la collera divina (Giudici 20, 26; I Sam. 7, 6) o quando una grande calamità colpiva la terra (Gioele 1, 14, 2, 12) o quando infuriava la pestilenza o quando sopraggiungeva la siccità. In Giona 3, 6-7 si può vedere con quale rigore si osservasse un digiuno ufficiale, mentre in Is. 58, 5 viene data una descrizione di un giorno di digiuno tra gli ebrei.
I digiuni privati erano frequenti fin dai primi tempi (Giuditta 8, 6; I Macc. 3, 47; II Macc. 12, 12). Ci si poteva assumere la responsabilità di digiunare in certi giorni o in memoria di certi eventi della propria vita o in espiazione dei suoi peccati o in tempo di difficoltà per suscitare la misericordia di Dio.
Quindi, pur essendo un momento drammatico, l’ultima cena assume solo in un secondo tempo per gli apostoli i connotati di afflizione a causa delle parole emozionate ma inquietanti di Gesù.
Ritorniamo alla lettura del Vangelo di Mc 2,18-22. Citando il detto che è vietato il digiuno (cioè infliggere afflizione a se stessi cfr. Lv. 23, 32) in presenza dello sposo, Gesù rivendica il compimento della sua missione messianica, il suo compito di redimere l’uomo dal peccato, e ricorda, correlando la sua affermazione con la Legge, che quando lo sposo sarà ‘tolto’, allora si digiunerà.
L’espressione ‘sposo tolto’ potrebbe essere la radice biblica del digiuno eucaristico.
L’ultima cena viene a essere il momento connettivo tra la presenza fisica di Gesù e l’annuncio della sua consegna (il tradimento) preludio della morte.
Quando lo sposo è tolto.
In quest’ottica si comprende anche meglio l’Eucarestia come Sacramento - segno sensibile ed efficace della grazia divina -; un modo radicalmente nuovo che Gesù sceglie per essere con i suoi discepoli[10].
Il digiuno, dunque, è assenza dello sposo. Identificandosi con lo sposo, Gesù valorizza il dettato della Legge, porta a ‘compimento’ la Torah e la contestualizza nella novità della sua missione salvifica.
Gli apostoli per quella cena non potevano digiunare perché lo sposo era presente. Dopo la cena, quando lo sposo è tolto per dare la vita in riscatto di molti (Mt 20, 28b), vittima di espiazione per i nostri peccati (1Gv 2,2) il digiuno diviene una necessità percepita come vitale.
In questa prospettiva non sono forse illuminanti le parole di Gesù (Gv 16, 2-3/6-9)[11] sulla necessità del Consolatore? Il gesto di Gesù che benedice il pane e il vivo, cioè l’istituzione del Sacramento, non assume un aspetto più pregnante?
Ricevere il Corpo e Sangue di Cristo è essere intimamente innestati nel Suo mistero di espiazione.
Lo Sposo è la vittima di espiazione. Gli apostoli e i primi discepoli erano ebrei cristiani, la vittima di espiazione cosa poteva ricordare loro se non il giorno più solenne della religione ebraica: il giorno dell’espiazione (Lv 16)?
In quel giorno il sommo sacerdote entrava nel Tempio per compiere il sacrificio a nome di tutto il popolo[12].
Era il giorno in cui Dio suggellava il suo giudizio verso il singolo, in cui il pio ebreo consapevole dei propri peccati, chiedeva perdono al Signore ed era esaudita la richiesta di essere iscritti da Dio nel “Libro della vita”. Alcuni ponevano l’accento sulla purezza con cui ci si doveva avvicinare a questa giornata con l’uso di vestire di bianco (in albis…)..
La giornata di digiuno iniziava al calare del sole e durava fino al giorno seguente alla comparsa delle prime stelle; così solenne che era l’unico giorno di digiuno che si compiva anche di sabato e, infatti, era chiamato il sabato dei sabati.
Giovanni scriverà (1Gv 2, 1b -2) abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo giusto: Egli è propiziazione per i nostri peccati: né solamente per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo,
Se inquadriamo in questo modo l’ultima cena osserviamo come Gesù è l’Agnello pasquale che porta su di sé il peccato del mondo e vive in prima persona la grande celebrazione del giorno dell’espiazione.
Infine, un piccolo dato rituale: tutti i digiuni ebraici iniziavano al mattino e terminavano alla sera con l’apparire delle prime stelle, tranne in due occasioni. Il digiuno del giorno dell’Espiazione (di cui abbiamo parlato) e il digiuno del Nono di Av[13] che nasce per commemorare la prima e seconda distruzione del Tempio[14].
Ricordiamo che il Tempio era il segno della presenza di Dio tra il suo popolo e quindi simbolo dello sposo. Non si dice forse che alla morte di Gesù il velo del Tempio si squarciò (Mt. 27, 51)?
Si può fare l’ipotesi che la pratica del digiuno eucaristico si sviluppi influenzata da diversi elementi: la modalità del grande digiuno dell’espiazione, la suddivisione delle ore diurne/notturne nell’impero romano, lo spostamento dell’Eucarestia al mattino.
Se non era sostenibile un digiuno frequente di circa 25 ore (unito anche alla necessità di differenziarsi rispetto agli ebrei), è pur vero che un digiuno dalla mattina alla sera non rispondeva alla necessità di dissociare l’Eucarestia dall’agápē[15].
E’ un processo dal basso e non di ordine giuridico in cui le usanze fluttuano e si mescolano.
Ne è derivato un digiuno tollerabile dalla mezzanotte al mattino e si sono creati spazi (Quattro tempora, particolari vigilie solenni, Stazioni quaresimali) affini, anche se non apertamente, alla grande tradizione biblica di digiuno delle 25 ore ‘adattate’ in una realtà mondana non più ‘sacra’ come l’antico Israele.
Non dimentichiamo che l’osmosi tra ebraismo e cristianesimo durerà a lungo se un autore come san Beda il Venerabile (ϯ 735)[16], indicherà ancora tra i pochi peccati che necessitano di confessione, l’indulgere nella perfidia judaica (per-fides, devianza dalla Fede) ….
Dopo l’Ascensione i cristiani comprendono la necessità di ripetere il gesto di Gesù, il suo esempio, al termine della cena (agápē)[17], ma già nelle lettere di Paolo sono segnalati qua e là casi di abusi per la sovrapposizione tra banchetto e ricezione del pane consacrato che sfoceranno nella distinzione tra Eucarestia e cena e, da ultimo, si avrà la definitiva dissociazione dalla cena.
Se leggiamo il brano di Paolo (1Cor 11, 23-34[18]) troviamo traccia di questi passaggi di assestamento.
A motivo di tale frattura inizierà un processo attraverso il quale mentalità, prassi cultuale ebraica dei discepoli e usi cultuali dei convertiti pagani, nella comune meditazione del Mistero di espiazione/redenzione di Cristo, daranno vita con l’andare del tempo alla prassi del digiuno eucaristico che ha connotato la chiesa romana fino al XX secolo.
III 2 Il digiuno eucaristico nello scorrere dei secoli
Affrontiamo alcuni dati emergenti dalla lettura storica dei fatti.
Tracce interessanti sul digiuno si trovano nella Didachè[19], testo del II sec d.C., che alcuni hanno considerato parte del Nuovo Testamento, da cui però fu infine escluso. Il documento è interessante perché evidenzia il cammino di scostamento dagli usi ebraici pur nell’uso dei medesimi riferimenti culturali.
Non c’è traccia diretta di un digiuno che preceda l’Eucarestia, ma è interessante che si preveda un digiuno di uno o due giorni prima del battesimo. Poiché i due sacramenti erano contigui, non si può escludere che questa indicazione possa essere stata valida anche per l’Eucarestia. Saremmo di fronte a una forma di proto digiuno eucaristico.
Tertulliano ha offerto una testimonianza che attrae per la sua posizione temporale (l’anno 207), ma è sostanzialmente neutra come già fu dimostrato[20]. Nel trattato ‘Alla consorte’ troviamo (II, 5.3): Non saprà tuo marito ciò che tu prendi in segreto prima di assumere ogni altro cibo? E se saprà che si tratta di pane, non penserà forse che è proprio quello di cui si parla?
Indica una prassi di digiuno? Non è certo. Rileva l’uso di conservare in famiglia il pane consacrato per potersi comunicare durante la settimana., ancora in quest’epoca.
E’ vero che si parla di un ‘ante omnem cibum’, ma il contesto generale sembra suggerire più un gesto furtivo che una pratica consapevole.
La Tradizione Apostolica attribuita ad Ippolito, testo che secondo gli ultimi studi raccoglie materiale redatto tra il II e il IV secolo, indica l’abitudine a presentarsi ‘all’oblazione’ digiuni. Ognuno mangerà nel nome del Signore. Perché questo è gradito a Dio che ci mostriamo zeloti anche tra i pagani, essendo tutti uniti e sobri. (TA 29)
Non sembra ancora però espressione di una tradizione affermata se, nel medesimo testo, compare un gesto misterioso durante il rito del battesimo a cui segue l’Eucarestia: i diaconi porteranno subito l'oblazione. Il vescovo benedica il pane, che è simbolo del Corpo di Cristo; e la coppa di vino mescolato, che è il simbolo del Sangue che è stato sparso per tutti coloro che credono in lui; e il latte e il miele mescolati insieme, in adempimento della promessa fatta ai padri, in cui disse: "Una terra dove scorre latte e miele", che Cristo ha dato davvero, la sua carne, per mezzo della quale coloro che credono sono nutriti come figlioli, con la dolcezza della sua Parola, addolcendo il cuore amaro; e acqua anche per un'oblazione, come segno del battesimo, so che anche la persona interiore, che è psichica, possa ricevere lo stesso del corpo. (TA 27-30).
Dal IV secolo compaiono alcune testimonianze precise dell’affermarsi del digiuno. Se appare dubbio che san Basilio, trattando del digiuno, si riferisca con sicurezza a quello precedente l’Eucarestia, è, invece, certo che il successore di Atanasio ad Alessandria, Timoteo (ϯ 384) ne parli come una realtà di fatto. Al punto che il suo successore, Teofilo (ϯ 412), uomo di altra tempra, quando un anno la vigilia dell’Epifania cadeva di domenica e, dovendo decidere riguardo al digiuno, stabilì di mantenerlo fino alle tre del pomeriggio, con un piccolo spuntino verso mezzogiorno (per festeggiare il giorno del Signore).
Nella Storia ecclesiastica di Socrate Scolastico (ϯ 450) troviamo la documentazione di diversità nell’osservanza del digiuno e anche (libro V, 22) una testimonianza singolare: Gli Egizi che sono vicini agli Alessandrini e chi vive in Tebaide organizzarono riunioni di sabato, tuttavia non partecipano ai misteri com’è usanza dei cristiani. Essi dopo aver abbondantemente mangiato, sazi di ogni sorta di alimenti, verso sera, partecipano ai misteri portando l’offerta.
E’ documento espressivo perché rileva come i cristiani si differenziano da altri che partecipano ai misteri perché digiunano.
Anche Sozomeno nella sua Storia Ecclesiastica (ϯ 439) riporta che in Egitto di sabato, fatta la cena, si riceve l’Eucarestia.
Nel IV secolo la situazione è ancora variabile, ma la pratica del digiuno tende sempre più a prendere piede.
La più antica testimonianza sulla necessità del digiuno eucaristico sembra comparire nell'anno 393 quando un sinodo locale a Ippona decretò: Il Sacramento dell'Altare non sia celebrato se non da persone digiune[21].
Nel III sinodo di Cartagine del 397, pare sia stato ripreso il canone con le medesime parole.
Intorno all’anno 400 si può considerare che la consuetudine del digiuno eucaristico sia una prassi ormai serenamente consolidata. La testimonianza si ricava da una celebre lettera di sant’Agostino a Gennaro in cui possiamo leggere, si dovrebbe per questo criticare la Chiesa universale perché l'Eucaristia si riceve sempre a digiuno? (Lettera 56, 3.4)
La lettera, però, dovrebbe essere meditata interamente per il criterio di comportamento pratico che suggerisce e la libertà di spirito che manifesta: Altre pratiche poi variano a seconda dei luoghi e delle regioni, come quelle per cui alcuni digiunano il sabato e altri no, alcuni si comunicano ogni giorno col corpo e sangue del Signore, altri invece lo ricevono in determinati giorni; in alcuni luoghi non si lascia passar nessun giorno senza offrire il Sacrificio, in altri lo si offre solo il sabato e la domenica e in altri solo la domenica: l'osservanza di tutte le altre pratiche che si possono ricordare simili a queste è lasciata alla libertà di ciascuno; la regola migliore cui si può attenere un serio e prudente cristiano è quella di agire nel modo in cui vedrà agire la Chiesa in cui si troverà. […] Mia madre, la quale m'aveva seguito a Milano, trovò che quella Chiesa il sabato non digiunava; aveva quindi cominciato a turbarsi ed era in ansia non sapendo che cosa avrebbe dovuto fare: allora io non mi curavo di tali cose, ma, per far piacere a lei, consultai su ciò l'incomparabile Ambrogio di santa memoria ed egli mi rispose che non poteva insegnarmi nient'altro che quant'egli stesso faceva, poiché se avesse conosciuto una norma migliore, l'avrebbe osservata di preferenza. […] egli aggiunse dicendomi: "Quando vado a Roma, digiuno il sabato; ma quando sono qui, non digiuno. Così tu pure, osserva l'uso della Chiesa ove ti capiterà d'andare, se non vuoi essere di scandalo ad alcuno né riceverlo da altri". Avendo io riferito ciò a mia madre, essa abbracciò quella regola. Quanto poi a me, pensando spesso a quel parere, l'ho sempre ritenuto come se l'avessi ricevuto da un oracolo celeste. (Lettera 56, 2.2 – 3).
Nel V secolo la situazione della pratica non solo si è stabilita, ma anche radicata se, in un testo attribuito a san Giovanni Crisostomo (344-407), la lettera a Ciriaco, il vescovo viene rimproverato di aver dato la comunione a persone non digiune.
Da questo momento in poi, in occidente e in oriente, la pratica sarà ferma come iniziano a testimoniare dal V secolo gli atti dei concili dove sono presenti pene per coloro che violano il digiuno come ad esempio il III concilio di Braga del 572 o il II di Mâcon, oppure il VII di Toledo nel 646 che, ad esempio, scomunicava coloro che celebrassero l’Eucarestia non digiuni[22].
Accanto a questo tipo di legislazione sussisterà anche la preoccupazione che la necessità del digiuno fosse coordinata al bisogno di tener conto di situazioni particolari come l’infermità o il pericolo di morte che necessariamente ne limitavano l’uso[23].
L’esperienza condivisa del digiuno contrassegnerà fino al XX secolo la cristianità latina con i necessari ritocchi, ovvi, dovuti alla fragilità umana, ma senza alterarne la sostanza.
III 3 Maestro! Non t'importa che moriamo?
Lo ‘sviluppo armonico’ di quasi duemila anni di pratica di digiuno eucaristico subisce una profonda frattura con la pubblicazione della Costituzione Apostolica di Pio XII Christus Dominus del 1953.
La pratica del digiuno si era sviluppata attraverso stratificazioni sulle quali gli interventi giuridici apparivano come aggiustamenti per mantenere la rotta. Interventi, comunque, che non si discostavano dall’uso comune della tradizione.
In questo caso abbiamo invece un provvedimento dall’alto che in punta di diritto canonico era certo legittimo; era ancorato alla Tradizione oltre che prudente e saggio?
A onor del vero sembra che alcuni testimoni ricordassero una certa riluttanza di Pio XII che avrebbe voluto creare una commissione per stabilire se possedesse il diritto di procedere a una revisione così radicale.
La saggezza non prevalse.
Molti ritengono a buona ragione che questo cambiamento sia stato l’autentico elemento destabilizzante che di lì a 10 anni avrebbe tagliato la testa alla Chiesa Cattolica, perché il digiuno eucaristico romano era come il cemento che non solo impastava la liturgia, ma ne qualificava anche l’appartenenza.
Una volta abbattuto, si vide che era ormai possibile quasi tutto e, infatti, due anni dopo avvenne il vulnus grave, la riforma dei riti della settimana santa. Poi la frana fu irrefrenabile fino alla missa novus ordo del 1969.
Prima di addentrarci nella lettura della Costituzione è bene aver presente, almeno a grandi linee, ciò che avviene nelle chiese orientali.
Il digiuno ortodosso differiva da quello romano per un inquadramento meno giuridico. Attento alla realtà del singolo, è calibrato sul fervore della sua vita spirituale; in genere inizia alla sera (come il digiuno ordinario ebraico…) con una cena di carattere ‘quaresimale’ al cui termine si resta digiuni fino alla conclusione della liturgia del giorno seguente.
Ponderato sul fervore di ciascuno è anche il digiuno presso i copti ortodossi[24] che prevedono nove ore di astensione dal cibo e dalle bevande prima di accostarsi all’eucarestia. Coltivano anche un uso di elevata raffinatezza evangelica: è preferibile astenersi dal digiuno, piuttosto che renderlo pubblico. Il digiuno è pratica che deve rimanere nascosta tra il cristiano e Dio e, di fatto, non ha alcun rilievo pubblico nella Chiesa.
Torniamo alla Costituzione di Pio XII che, come sarà di moda negli anni a venire, abbonda di compassione (oggi misericordia) per le particolari condizioni dei tempi in cui viviamo hanno introdotto molte modificazioni negli usi della società, e nella vita comune, per cui sorgerebbero gravi difficoltà che potrebbero allontanare gli uomini dalla partecipazione ai divini misteri, se la legge del digiuno eucaristico dovesse osservarsi pienamente, come si è fatto finora.
La giustificazione della compassione sarà il primo sintomo di quella che diverrà la figlia primogenita del concilio vaticano II: la pastorale - che ha una sola affermazione, se stessa, e un’unica delusione, la Fede.
In questo modo s’intendeva presentare la chiesa aggiornata come ‘esperta in umanità’[25].
Invece la storia sta dimostrando il misconoscimento da parte della chiesa della reale portata della modernità come congiura universale contro qualsiasi specie di vita interiore (La pastorale ne avrebbe dovuto essere il farmaco l’ha addirittura accresciuta).
La suprema saggezza della Chiesa abita altrove perché dovrebbe consistere nella capacità di tollerare l’impotenza e la sconfitta di annunciare al mondo che Cristo è l’unico Redentore.
Il resto che serve?
Quale mens stava alla base della scelta della Costituzione, forse la lettura di Mt. 12, 1-8[26] (testo riportato anche in Lc. 6, 1-5 e Mc 2, 23-38)?
Se è vero come dice Gesù che c'è qualcosa più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio (Mt. 12, 6b -7) i Vangeli pur affermando che il Figlio è signore anche del sabato, non dicono che lui, in quell’occasione, abbia mangiato le spighe insieme ai discepoli per sottolineare la sua superiorità…
La compassione dimostrata da Gesù non esclude l’adesione, ma il rispetto della Legge, come Egli stesso ha più volte affermato (cfr. Mt 15, 17-20).
Ora, benché alcune delle situazioni indicate dalla Costituzione meritassero di essere prese con molta serietà, l’effetto del documento non fu quello di limitare ad alcuni casi la mitigazione del digiuno, ma di vanificare una disciplina che affondava le radici al momento della nascita della Chiesa.
S’indusse la convinzione che qualunque ‘iota o segno della Legge’ poteva essere mutato dalla ‘suprema autorità’.
E non basta certo la ripetuta osservazione di Pio XII intendiamo, tuttavia, con questa Costituzione Apostolica confermare in tutto il suo vigore la legge e la consuetudine del digiuno eucaristico ed esortare coloro che possono farlo a continuare nell'esatta osservanza di essa.
Magra consolazione (l’unico elemento di ‘magro’ che rimane, trattandosi di digiuno…).
Alla luce degli avvenimenti ecclesiali dei decenni seguenti, le espressioni su cui il papa fa forza per giustificare (tragicamente) a se stesso ciò che sta compiendo saranno tutte crudelmente sconfessate.
E’ per il Nostro animo motivo di dolce consolazione — e siamo lieti di dichiararlo qui pur brevemente — il rilevare che la devozione verso l’Augusto Sacramento dell’Altare cresce continuamente non solo nell’animo dei fedeli, ma anche nello splendore del culto, che rifulge spesso nelle pubbliche manifestazioni dei popoli. […]
Voglia il Signore che questa fame del pane celeste e questa sete del sangue divino diventino sempre più ardenti in tutti gli uomini di qualsiasi età e condizione sociale! […]
Perciò quelli che potranno usufruire delle facoltà concesse dovranno innalzare più ardenti al cielo le
loro preghiere per adorare, ringraziare Dio e, sopratutto, per ottenere il perdono dei loro peccati ed
implorare nuovi aiuti dal cielo.
La successione degli eventi ha dimostrato la totale mancanza di lungimiranza e la sostanziale illusione rispetto a ciò che stava realmente accadendo alla Chiesa.
La controprova arriva con Paolo VI che 10 anni dopo (1964) dispone, seguendo i desiderata dei vescovi del concilio, di ridurre a un’ora il digiuno da cibi solidi e da bevande alcoliche (ai tempi di Pio XII si abolì l’acqua, viene da domandarsi cosa mai succedesse in quegli anni entro un’ora prima… In barba alla compassione).
Con l’Istruzione Immensae Caritatis del 1973 si ridusse a un quarto d’ora per i ‘grandi’ anziani e gli ammalati.
In un decennio si codifica, dunque, lo spostamento di orientamento dalla ricerca di Dio alla ricerca di Sé, di cui l’altare rivolto verso il popolo, istituito dopo il concilio, ne sarà la consacrazione lampante.
La pratica del digiuno così come nei secoli era stata vissuta era una porta di accesso a Dio attraverso cui l’uomo, con il suo corpo, ricordava a se stesso come Dio non potesse essere manipolabile.
Ciò che siamo diventati è ben espresso da un intervento del dicembre 2014 che testimonia quale livello di mascheramento del divino si sia raggiunto in settant’anni: quando Papa Pio XII ci liberò da quella croce tanto pesante che era il digiuno eucaristico. Non si poteva neppure bere un goccio d’acqua. E per lavarsi i denti, si doveva fare in modo che l’acqua non venisse ingoiata». Il vescovo di Roma ha confidato: «Io stesso, da ragazzo, sono andato a confessarmi di aver fatto la comunione, perché credevo che un goccio d’acqua fosse andato dentro». Perciò quando Papa Pacelli «ha cambiato la disciplina — “Ah, eresia! Ha toccato la disciplina della Chiesa!” — tanti farisei si sono scandalizzati. Tanti. Perché Pio XII aveva fatto come Gesù: ha visto il bisogno della gente: “Ma povera gente, con tanto caldo!”. Questi preti che dicevano tre messe, l’ultima all’una, dopo mezzogiorno, in digiuno. E questi farisei erano così — “la nostra disciplina” — rigidi nella pelle, ma, come Gesù dice, “putrefatti nel cuore”, deboli fino alla putredine. Tenebrosi nel cuore.
IV Com’era e dov’era?
La distruzione dell’abbazia di Montecassino[27], per il particolare intreccio storico che nei secoli si sviluppò tra quel cenobio e la chiesa di Roma, può essere presa a metafora efficace degli avvenimenti che nel XX secolo hanno devastato e stravolto la Chiesa Cattolica.
All’indomani della guerra, inversamente a quanto successo nei secoli passati[28], si decise di ricostruire il monastero “com’era e dov’era”.
Una copia non è mai l’originale, risponde alla logica dell’”intervento riparatore” del proprio senso di colpa, del proprio fallimento, della propria impotenza e infine di un atteggiamento magico che vagheggia di ricostruire il sublime, ma senza riuscire a restituire il fascino del vero.
Ovvero il tempo della ricerca di Dio che alcuni uomini vivono in un luogo particolare, generazione dopo generazione, e che lentamente s’impregna nelle pietre.
La scomparsa della pratica del digiuno eucaristico è una scheggia forse d’importanza basilare della distruzione subita dalla chiesa di Roma. Era uno strumento ascetico, non quel tipo di pratica devota che nei secoli ha attirato la passione di molti nei periodi bui in cui la Fede era debole.
Ricordiamo come tra otto e novecento la chiesa si presentava come ‘la chiesa del Sacro Cuore’ (oggi molti addirittura s’imbarazzano quando se ne parla); adesso siamo nell’epoca della Parola di Dio e mai ignoranza è stata maggiore rispetto alla conoscenza dei fondamenti della nostra Fede…
La pratica del digiuno eucaristico era uno strumento ascetico, occorsero secoli perché divenisse esperienza condivisa e sentita. Il nome degli uomini che l'hanno iniziata è conosciuto solo da Dio, noi, invece, siamo figli di un’epoca in cui alcuni uomini predispongono documenti che con un colpo di penna demoliscono e distruggono ciò che generazioni di cristiani avevano trasmesso come i doni più preziosi.
Forse la nostra prima penitenza è tollerare di non poter ricostruire ex novo quanto abbiamo perso.
Se si va in visita a Montecassino dopo averne varcato il portale d’ingresso, fatti pochi passi, si giunge alla Loggia del Paradiso e lo sguardo è catturato dalle arcate aperte sul meraviglioso paesaggio sottostante della valle del Liri e se ne è come ‘distratti’.
Osservando le fotografie del monastero prima del bombardamento, ci accorgiamo che un tempo quelle arcate erano cieche. Il pellegrino che arrivava era come contenuto dai muri. Il suo sguardo era ‘attratto’ e guidato ai piedi della scalinata e l’occhio con naturalezza sospinto a guardare in alto, verso la chiesa.
Lætatus sum in his quae dicta sunt mihi, in domo Domini ibimus (Ps. 121, 1).
Non si tratta di quale sia la prospettiva migliore, ma aver chiaro che è mutata. L’uomo di un tempo era portato a guardare verso l’alto, oggi noi siamo ripiegati verso il basso.
A volte il criterio del “com’era e dov’era” è la trappola che inganna insinuando la convinzione che ‘ricostruendo’ il passato possiamo far finta non solo che ciò che è accaduto nel frattempo sia dissolto, ma illuderci che noi non siamo cambiati.
Il digiuno come fonte di vita spirituale è stato prosciugato nell’anima del cristiano (latino), come diversi altri aspetti dell’esperienza di essere umano alla ricerca di Dio. E’ stato indotto a ricercare solo se stesso, accecandosi volontariamente con il pretesto dell'amore del prossimo.
Il sopruso è stato terribile perché inferto da chi aveva il compito di preservare la Fede.
Spingere qualcuno alla morte dell’anima è una violazione assoluta che purtroppo ha come effetto difensivo la necessità dell’oblio e il bisogno dell’ignoranza.
L’apostasia verso cui siamo convertiti ogni giorno è la soglia della morte dell’anima[29] e, affinché non avvenga, è necessario rifiutare qualsiasi parola e gesto che provenga da un universo di demolizione, soprattutto se ecclesiastico.
E’ l’assetto mentale rivoluzionario della responsabilità che si fa carico e non delega la conservazione della propria Fede.
Ci potrebbe essere, però, ancora una terza tentazione. Un tempo, guardare Montecassino era come percepire la presenza di un baluardo, un faro di pace nel cuore della burrasca, un’icona di quella chiesa, Roma, alla quale tutti – anche i non cristiani - volgevano lo sguardo come alla spina dorsale del mondo.
Dire che il sole e la luna hanno cambiato di pozione più volte nella chiesa degli ultimi decenni, è essere generosi…
Prendiamo in mano la vita di san Benedetto scritta da Gregorio Magno e leggiamo con cura le parole che Gregorio mette in bocca a Benedetto[30].
San Benedetto ha la visione della distruzione del monastero, ma non esorta i suoi monaci a sfuggire alla rovina.
La distruzione non è un buon motivo per la fuga, sembra suggerire Gregorio.
Non c’è mai nessuna ragione per fuggire, meno che mai quando ci si trova di fronte all’apostasia; se lo facessimo, non incontreremmo anche noi Qualcuno che andrebbe a occupare il nostro posto e al Quale, stupiti, saremmo indotti a domandare: quo vadis Domine?
La grandiosità della Montecassino ricostruita è una chimera e le pratiche spirituali della Tradizione della Chiesa non sono mobili di alto antiquariato dietro ai quali difendersi; fu l’errore del concilio i cui ‘periti’ lusingarono le sfide del mondo contemporaneo, ricostruendo a tavolino una chiesa “com’era e dov’era”.
Una velleità intinta nell’onnipotenza.
Erano convinti di poter riedificare il sublime dopo aver demolito il fascino del vero.
… ciò che ci è rimasto tra le mani è un grande vuoto freddo.
E’ quello che abitiamo oggi, che vorremmo rifuggire, ricostruendo…
Non dimentichiamo che ovunque, anche nel vuoto peggiore, possiamo sempre recuperare il privilegio del vacare Deo (di dedicare del tempo a Dio) e quando si ha questo privilegio, ci si rende conto che tollerarne la fatica può dare qualcosa di ancora più importante: la prospettiva.
Una strenua chiarezza del ‘dove siamo e come siamo’.
La veneranda pratica del digiuno eucaristico è una delle tante macerie della chiesa tra le quali ci aggiriamo; non inganniamo noi stessi; ricostruire Montecassino potrebbe essere unicamente stupore emozionato, quasi necessità di un tentativo di risposta… inefficace.
Siamo chiamati a fendere il buio mortifero di cui si è intrisa la nostra anima perché l’apostasia è il limite massimo della nostra vulnerabilità. Questa sconvolgente avventura spirituale racchiude la richiesta che ci è proposta adesso: l’esperienza umile e dolorosa della Croce in questa chiesa (Gn. 28, 16).
Conservare la tradizione non è voltarsi indietro (Gn. 19, 26) al com’era e dov’era, ma approdare ‘a gran fatica’ alla singolare bellezza dell’insieme, a quell’impercettibile mormorio del cuore:
Nisi Dominus ædificaverit domum, in vanum laboraverunt qui ædificant eam (Ps 126, 1).
Farmaco per una chiesa non religiosa!
Luce per un’epoca non religiosa!
[1] Presso i cristiani di oriente una pratica del digiuno con elementi analoghi è rimasta pressoché inalterata.
[2] Ampio sarebbe il discorso. L’eliminazione di questo digiuno fu l’anticamera per la Messa vespertina, a sua volta la porta d’ingresso per la Messa prefestiva, a sua volta la sistemazione della Messa nei ritagli di tempo ‘comodo’ e, infine, la liquidazione del rispetto della domenica, giorno del Signore.
[3] La deriva autoritaria del ministero petrino inizia con la proclamazione del dogma dell’infallibilità (che all’epoca alcuni già intravedevano); colpì in modo particolare la vita liturgica per tutto il secolo XX. Ciò che è diventato negli ultimi tempi è sotto gli occhi di tutto.
La storia insegna che l’autoritarismo è una forma di paternità collassata che degenera rapidamente in un’espressione di ateismo neppure troppo mascherata.
[4] Non è un caso che l’Islam fino almeno al tempo di Tommaso d’Aquino fosse considerato non una religione, bensì un’eresia del cristianesimo. Ci sarebbe da riflettere.
[5] I Maestri di Israele affermavano che sarebbe stato sufficiente che tutto il popolo ebraico rispettasse due sabati consecutivi perché il Messia facesse la sua apparizione sulla terra; interessante annotazione alla luce di quanto scritto nel Vangelo di Giovanni (20, 1) Τῇ δὲ μιᾷ τῶν σαββάτων Μαρία ἡ Μαγδαληνὴ ἔρχεται // Prima autem sabbatorum Maria Magdalene venit mane.
[6] Si vedano le considerazioni interessanti di un autore sinceramente interessato al problema, la cui riflessione però non riesce a staccarsi da una visione di regole da seguire, più che da un confronto con la Tradizione. Edward Peters, The Communion Fast: a Reconsideration, Antiphon 11 (2007) pp. 234-244.
[7] Il pensiero corre ai 40 giorni nel deserto (di biblica memoria) dove, nel momento della debolezza (ebbe fame), Gesù ribadisce al tentatore la signoria di Dio e ne viene confermata la sua divinità filiale. Gesù insegna, contrariamente al recente Padre Nostro che Dio tenta il suo servo…
[8] Termine che vuol dire Passaggio. Dalla schiavitù, ma anche dall’opulenza e dalla sfrenata libertà dell’Egitto, alla Legge ricevuta nel deserto. La libertà è un duro pane, impararono gli ebrei nel deserto.
[9] Ora i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». 19Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. 20Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. 21Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore. 22E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi».
[10] Tommaso d’Aquino lo precisa con chiarezza e si sarebbe scandalizzato osservando quanti dicono davanti al tabernacolo: lì c’è Gesù, lì è il Sacramento!
[11] 2 Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. 3 E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. 6 Anzi, perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. 7 Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò.
[12] E’ il nostro attuale Yom Kippur.
[13] Cade tra luglio e agosto.
[14] Tisha b'Av, cade nel mese di luglio e agosto. Si celebra il Nono giorno perché la distruzione del Primo Tempio avvenne il 7º giorno del mese di Av (2 Re 25,8) e continuò fino al 10° (Geremia 52,12). Il fuoco venne acceso nella serata del 9 secondo fonti orali poi confluite nel trattato rabbinico Taanit 29. Digiuno nato per commemorare la prima (586 a.C. ad opera del re Nabucodonosor) e la seconda (70 d. C, ad opera dell’imperatore Tito) distruzione del Tempio di Gerusalemme, avvenute a 665 anni di distanza l’una dall’altra, ma lo stesso giorno.
Nei secoli si collegate anche altre ricorrenze luttuose.
[15] Questa, significativamente, è rimasta presso i copti che hanno mantenuto molte affinità di costumi con l’antico Israele.
[16] Bedae Venerabilis In Lucae Evangelium expositio. Parte 3 di Bedae Venerabilis Opera. Ps. 2. Opera exegetica, Volume 120 di Corpus Christianorum. Ser. Latina; lib V cap 17.
[17] Che prestissimo diventano identificative del culto cristiano.
[18] 23 Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24 e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». 25 Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». 26 Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga. 27 Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. 28 Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; 29 perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. 30 È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. 31 Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; 32 quando poi siamo giudicati dal Signore, veniamo ammoniti per non esser condannati insieme con questo mondo. 33 Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri. 34 E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna. Quanto alle altre cose, le sistemerò alla mia venuta.
[19] La Didachè è la fonte ispiratrice di altri tre documenti interessanti: La Didascalia degli Apostoli, le Costituzione apostoliche e la Didascalia etiope. Documenti avvincenti e resoconto della formazione di due religioni tanto simili, quanto dissimili dallo stesso tronco di Israele.
[20] J. M. Frochisse, A propos des origines du jeune eucharistique, in Revue d'Histoire Ecclésiastique, T. 28, (3) ([01/07/1932])
[21] G. D. Mansi, Sanctorum conciliorum et decretorum collectio nova, seu collectionis conciliorum... supplementum, in quo additamenta, variantes lectiones emendationes ad concilia Veneto-Labbeana; nova itidem concilia, ac decreta exhibentur, Lucca 1752 vol III can 28 pag. 923. (NdA: non è stato possibile controllare se l’espressione ‘sacramento dell’-altare- sia traduzione o interpretazione del testo originale)
[22] Cfr. Mansi can 2, vol X , pag. 768.
[23] Cfr H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum, Concilio di Costanza, sessione XIII, 15.06.1415, EDB Bologna 2012, n° 1198. Ribadisce, più di mille anni dopo, che il sacramento non deve essere assunto dopo cena, salvo il caso di malattia o altre necessità approvate dal diritto o dalla chiesa. Fu letto come un porecedente dagli estensori della Costituzione Christus Dominus del 1953.
[24] Presso i quali i giorni di digiuno annuale sono 210 su 365…
[25] Paolo VI, Discorso all’ONU 4.10.1965. Espressione ripresa anche nell’enciclia Populorum Progressio 1967, n° 13.
[26] 1 In quel tempo Gesù passò tra le messi in giorno di sabato, e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere spighe e le mangiavano. 2 Ciò vedendo, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare in giorno di sabato». 3 Ed egli rispose: «Non avete letto quello che fece Davide quando ebbe fame insieme ai suoi compagni? 4 Come entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell'offerta, che non era lecito mangiare né a lui né ai suoi compagni, ma solo ai sacerdoti? 5 O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio infrangono il sabato e tuttavia sono senza colpa? 6 Ora io vi dico che qui c'è qualcosa più grande del tempio. 7 Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa. 8 Perché il Figlio dell'uomo è signore del sabato».
[27] Montecassino ha subito quattro distruzioni nella sua storia. La prima nel 577 per mano dei Longobardi, poi nell’883 dovette subire l’assalto dei Saraceni. Nel 1349 fu un violento terremoto a decretarne la distruzione, mentre nel 1944 è stata distrutta dai bombardamenti delle truppe Alleate.
[28] Il motto dell’abbazia: Succisa virescit avrebbe potuto essere fonte d’ispirazione. Abbattuta, riprende vita. Si abbia a mente ciò che dice il Vangelo di Marco (4,26-27): Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa.
[29] Particolarmente grave perché è codificata.
[30] L'uomo di Dio non piangeva per fervore di orazione, come spesso gli succedeva, ma per un grave dolore [… disse …] Tutto questo monastero che io ho costruito e tutte le cose che ho preparato per i fratelli, per disposizione di Dio Onnipotente, sono destinate in preda ai barbari. A gran fatica sono riuscito ad ottenere che, di quanto è in questo luogo, mi siano risparmiate le vite. (Dialoghi, 17)