Il 5 agosto del 1870 il corrispondente da Roma del Times di Londra così riportava quanto accaduto in quel giorno nella seduta culmine del concilio vaticano I:
I placet dei padri lottarono contro l’uragano; in mezzo al rombo dei tuoni ed al baleno dei tempi che percotevano tutte le finestre, illuminando il tempio e tutte le cupole di san Pietro. Placet gridava sua Eminenza o sua Eccellenza, e, a modo di risposta, la folgore elevava la sua voce terribile e i lampi venivano a solcare il baldacchino ed abbracciare tutte le pareti della sala conciliare. Ciò durò senza interruzione per un’ora e mezza fino a che ciascuno dei padri rispose all’appello del proprio nome. Non ho assistito mai a una scena più grandiosa e di un effetto più ammirabile […] e coloro che ne furono testimoni non dimenticheranno mai la proclamazione del primo dogma. (121)
Sembra quasi di rivedere la fotografia di quel fulmine che (forse) si abbatté sulla cupola di san Pietro al momento delle dimissioni del papa nel 2013.
Questo pittoresco brano del Times fu riportato nella “L'istoria vera del Concilio Vaticano / del cardinale Manning arcivescovo di Westminster ; versione dell'avv. Vincenzo Liberatore, Napoli, stab. tip. del cav. F. Giannini, 1878”.
Il cardinal Henry Edward Manning (1808-1892), uno dei fautori della proclamazione del dogma dell’Infallibilità Pontificia, scrisse con stile storico ineccepibile e assai gradevole la storia dell’evento a cui partecipò, dando voce a tutti i protagonisti, presenti e lontani.
Il cardinale traccia dapprima il percorso che portò alla proclamazione dogmatica e, non senza un certo senso di perplessità, si costata che effettivamente ci fu una certa regia che predispose con tre avvenimenti precedenti quello finale del concilio.
Infatti, vennero convocati a Roma un numero elevato e influente di vescovi per la proclamazione del dogma dell’Immacolata nel 1854, la canonizzazione dei martiri giapponesi nel 1862 e, da ultimo, l’anniversario del martirio di san Pietro nel 1867; il cardinale non nasconde che a molti, tali riunioni sembrarono propedeutiche a creare un certo stato d’animo che presentava quasi come inevitabile il dogma dell’Infallibilità.
Nel libro, in modo efficace, vediamo l’attività preparatoria che portò al concilio, furono messi in atto tutta una serie di passaggi per dare concretezza all’idea, non certo facile da sostenere, che il papa, convocando il concilio, rispondesse a un bisogno diffuso e a richieste precise.
Una situazione, almeno nella forma, meno monocratica di quella che avrebbe, un secolo dopo, determinato la convocazione il vaticano II.
Manning, pur non nascondendo il proprio orientamento personale, dedica alcune pagine a presentare, con obiettività, le ragioni di coloro che non si mostravano favorevoli.
Tra queste obiezioni, di alcune, dopo più di cento cinquant’anni dopo è possibile verificarne la validità, ad esempio là dove si dice che è da temere che i Vescovi trovino in questa definizione un facile pretesto a rallentarsi nell’esercizio della loro missione episcopale di giudici della dottrina (82).
E ancora:
Attesa la natura dell’uomo, uno dei primi risultati di questa definizione sarebbe che non solo accorrerebbero in Roma quistioni di dottrina, di cui è desiderabile che la chiesa decida, ma una moltitudine di affari di altro genere; per guisa che affluirebbero tutti al centro dell’unità e vi farebbero ingorgamento. Ora, per quanto grande sieno l’esperienza, la prudenza e l’autorità delle congregazioni romane, una tal consuetudine non sarebbe favorevole alla prosperità della Chiesa universale(ib.).
E, infine, come possiamo costatare nei giorni penosi che viviamo, un’altra obiezione che appare ora in tutta la sua temerarietà:
Tutti i cattolici credono che la Chiesa, per l’assistenza dello Spirito santo, è infallibile; e conseguentemente che tutte le dottrine da lei proposte alla nostra fede, sono divine, però, indubbiamente vere. Ma se il Capo della Chiesa può errare nel suo insegnamento, egli può in questo caso, proporre dottrine che non sieno divine e perciò stesso sieno dubbiose. Ora, se il magistero del Capo della Chiesa none esclude ogni dubbio, è impossibile che siffato insegnamento costituisca fondamento per la fede. (93)
La lettura di questo testo distante nel tempo ci aiuta a vedere come la chiesa, di fronte alle sfide poste dalla rivoluzione francese, a distanza di cento anni produce due concili simmetricamente opposti, ma con la stessa base: se stessa come centro della questione.
Nel vaticano I, una rocca da difendere ad ogni costo. Nel vaticano II lo smantellamento di ogni dottrina e l’accettazione di ogni idea. Entrambe le prospettive sono state fallimentari.
Il concilio vaticano I ha giocato tutte le sue carte (una vera hybris?) sull’infallibilità del pontefice; precisa Manning che l’autorità del Romano Pontefice è suprema e, per conseguenza immune da errore, allorché in materia di fede e di morale decreta ed ordina ciò che deve essere creduto e tenuto da tutti i fedeli di Gesù Cristo e ciò che dai medesimi deve esser rigettato e condannato. (97).
Cosa sia diventata oggi questa ‘autorità’, occasione di confusione della fede e scherno nei confronti di coloro che credono, è sotto gli occhi di tutti.