Caro X,
mi domandi qualche riflessione intorno all’ultimo documento Desiderio Desideravi? Non penso niente, per la precisione penso al niente.
Questo testo ricorda maggiormente Lucrezio che Gesù Cristo. Non so se condivida lo spessore dell’autore latino, certo assistiamo alla medesima assenza di senso del soprannaturale.
Ciò che induce ‘tenerezza’ (in quali tempi desolati viviamo!) lo puoi leggere al n° 47: Forse non ne abbiamo il ricordo vivo, ma facilmente possiamo immaginare il gesto di una mano più grande che prende la piccola mano di un bambino e la accompagna lentamente nel tracciare per la prima volta il segno della nostra salvezza.
Ho ancora negli occhi quel gesto (visibile al minuto 0.17), nelle grotte vaticane, volto a ‘educare’ un bambino…
Il nulla cosmico di Lucrezio non è il vuoto (di Dio) di questi uomini che esercitano solo un potere, ma che non hanno più autorità. Come potrebbero? L’autorità di qualunque tipo sia è un riflesso di Dio, se Lui non è presente nell’animo di chi la esercita, non potrà manifestarsi negli atti.
C’è un brano esemplare nel De Rerum natura ed è il famoso lamento della giovenca a cui è stato strappato il vitello. Ogni cristiano, oggi, sotto questo tipo di potere, si aggira come quella giovenca in cerca della Fede che, come quel vitello, è stata sacrificata agli idoli del mondo e ne soffre:
Sovente, davanti agli splendidi templi degli dei,
ai piedi degli altari dove brucia l’incenso, si accascia un vitello
sacrificato e un fiume caldo di sangue gli esce dal petto.
La madre a cui è stato strappato percorre i verdi pascoli
cerca di trovare per terra l’impronta dei suoi zoccoli,
posa dappertutto il suo sguardo, spera con tutte le forze
di scorgere da qualche il figlio perduto. Resta immobile
alle soglie del bosco, lo riempie dei suoi lamenti disperati,
in preda all’angoscia torna indietro a cercarlo nella stalla.
Né i teneri salici né l’erba ricca di rugiada né i suoi amati
corsi d’acqua che scorrono a filo delle rive possono consolare
il suo cuore o scacciare la sua sofferenza improvvisa
e neppure la vista degli altri vitelli nei pascoli fecondi
riesce a distrarre il suo animo o alleviare la pena: lei cerca
l’unica creatura che conosce davvero, la sua! (De Rerum natura II, 355-366).
Non posso invitarti che a diffidare della seduzione che esercitano le parole accattivanti di quei documenti ecclesiastici. Mascherano una collera contro la Fede, una supponenza che sollecita la superbia.
Lucrezio ha la certezza, vitale per lui, e l’onestà, di affermare che l’anima sia mortale e ne ricerca la traccia in ogni aspetto della natura, noi invece siamo trascinati, per nostra ignoranza e ignavia, in una oscura sfida contro Dio perché Lui è quel tipico povero che non fa audience e con il torto di bussare senza sosta alle porte del nostro nichilismo.
Ti sto scrivendo all’imbrunire di una giornata infuocata e, dalla finestra aperta, mi giungono gli schiamazzi di chi teme il silenzio notturno. Anche quando mi sento affranto da questa pena terribile, non è sempre consolatorio il pensiero che tutto sia transitorio. Allora, prima che le tenebre lo nascondano, alzo lo sguardo per leggere l’orizzonte disegnato dalle colline. E’ sempre lì, come da millenni, e non tradisce.
Davvero una visione impregnata di dolcezza e di una certa quale perennità; una magnificenza che ci è donata ogni giorno e nessun papa riuscirà ad aggiornarla o depredarla.
tuo
Don Aldo