Una lettera da un amico
Caro X,
l’altra sera sono scappato dalla conferenza; avevo bisogno di aria fresca e uscendo mi sono trovato nel primo imbrunire. Non potevo che rifuggire tutte quelle parole simili a una corona di tenebre e correre a sedermi su quella panchina su cui ho visto indugiare anche te e… cercare quiete tra il silenzio e le stelle.
Non fraintendermi, guardo con vero affetto il vescovo, tu lo sai.
Come tanti altri prelati grandi e piccoli deve aver profuso una notevole quantità di energia, ansia e affanni perché arrivasse la sospirata nomina!
Un obiettivo di non poco tormento al quale è infine approdato.
Ci capita, quando riceviamo un dono, di prestare assai poca attenzione all’involucro con il quale c’è offerto. Talvolta la sostanza del dono però, il messaggio vero, è da ricercarsi nella sua confezione ed è in quel modo che si svela l’animo del donatore.
Il nostro vescovo avrà prestato la dovuta attenzione?
E’ un uomo intelligente e si sarà pur reso conto, almeno per un attimo, che quella carta che accompagnava la nomina aveva qualcosa d’insolito (pare che qualcuno abbia nettamente percepito un non so che di sinistro ricevendola e si è ritirato con il massimo della gratitudine…).
Spento il clamore della cerimonia d’ingresso in diocesi -giocato sull’umiltà alla moda, sbandierata sui social, avrà provato sgomento a contatto con la realtà del nuovo stile evangelico di questi ultimi anni, con il nuovo mandato episcopale: chi fa i fatti suoi, campa cent’anni?
Delazione, dissacrazione, distruzione, corruzione e onnipresenza del capo sono la trama odierna in cui un povero vescovo, e non solo lui, deve districarsi (per non parlare della capillarità dell’avvertimento di citare sempre nelle prediche, colui che tutto vuole sapere, che tutto vuole controllare, che tutto vuole possedere. Pena la caduta in disgrazia).
Il nostro vescovo, credimi, non è un uomo cattivo, ma una cosa è pensare a sé immaginandosi vescovo, altra è il pensare su di sé. Si sarà reso conto presto di essere finito in una trappola, ben diversa da quella fantasticata.
E’ faticoso dissimulare tutti i piccoli e grandi cedimenti con se stesso e con gli altri.
Le piccole carognate necessarie per ingraziarsi chi di dovere.
Le parole che si presentano all’improvviso da un posto dimenticato di sé e sono da spinger giù con forza, in fondo alla gola, per evitare grane. Sempre all’erta.
Come non sentirsi logorati? Soprattutto quando la misericordia coincide con la bizzarria di un decisore capriccioso e imperscrutabile.
E’ la condanna del nuovo cristiano: non potersi permettere un’anima!
Penserai che divago, ma mi torna alla mente san Paolo quando riflette sul ministero e si paragona a un aborto.
Ora che tutto crolla, occorre una grande vigilanza per non diventare come feti calcificati, alloggiati nei gangli vitali del corpo della Chiesa per condurla alla decomposizione.
E’ stata disseminata la follia nelle nostre anime e siamo costretti a volte in situazioni in cui la Grazia di Dio non possa raggiungerci.
So che sorriderai di me perché mi sono dato malato nei giorni in cui si ricordava il triste anniversario foriero di queste amare considerazioni.
Nessuno è esente dalla necessità di fare i conti con la realtà che abbiamo sotto gli occhi.
Certo avrebbe potuto essere peggiore, ma non avrebbe potuto fare peggiori danni.
Quando stupore e orrore sono ormai ammarmellati in una nuvola minacciosa, per ritrovare la Stella è necessario ritornare alla nostra patria per un’altra strada.
tuo
Don Aldo