Caro X,
quale angoscia ciò che sta succedendo nel vicino Medio Oriente e … da noi.
Si torna a parlare di antisemitismo. Un aspetto tipico della modernità è l’invenzione di parole “sterilizzate” che ci permettano di essere allo stesso tempo a favore e contro qualcosa, preservandoci da un coinvolgimento emotivo che, però, inaridisce il cuore e confonde la verità.
È in ambito linguistico che fu classificato il termine ‘semita’ nel XVIII sec. La parola antisemitismo, invece, fu creata e applicata esclusivamente ai giudei/ebrei nel 1879 da un giornalista tedesco come l’eufemismo di “odio contro gli ebrei”.
Non è solo una questione terminologica. Davvero possiamo ritenere un caso che i nazisti, pur influenzati dall’ideologia di quel giornalista, indugiassero sul termine “Die Juden”?
Giudaismo è lemma che ha rimandi teologici profondi nell’immaginario collettivo e trattiene quello che, secondo me, il termine antisemitismo tenta di camuffare.
Ciò che proprio non tolleriamo nei giudei (ebrei) è la loro stessa presenza che ci riporta non solo alla realtà di Dio, ma in primo luogo al fatto che la nostra vita dovrebbe conformarsi a quella Realtà (aldilà delle scelte dei singoli o di Israele, ovviamente).
Il giudaismo con la Torah, lo studio indefesso, il rispetto sacro dello Shabbat, Pesach ecc. è l’esperienza religiosa dell’osservanza della Legge divina.
Il termine antisemitismo congela questa memoria dell’esperienza religiosa (e in questi mesi si coglie bene) e sterilizza il conflitto che la nostra cultura inalbera quando interferisce con il suo razionalismo (scientifico e teologico) e il suo principale incantamento (osservanza): l’obbligo di godere!
Con l’antigiudaismo abbiamo avversato nel secolo scorso (ma combattiamo ancora più ferocemente nel presente) la vera e unica battaglia della modernità, quella contro Dio: non serviam!
All’inizio dell’ottocento i giudei intrapresero la strada dell’assimilazione, sedotti dalla grande e affascinante cultura (Bildung) tedesca che sbriciolava Dio al suo interno. Pagarono un prezzo altissimo e non servì a nulla, i ricchi, colti e raffinati borghesi ebrei finirono in gas come i poveracci dei miseri shtetlekh dell’est con la differenza che alcuni di questi ultimi morirono mantenendo un’estrema speranza nel lodare Dio.
Testimonianza trasparente che la Provvidenza di Dio è sempre presente là dove il male sembra prevaricare. Nei forni crematori, come accanto al bambino che muore di fame: è sempre lì.
Più ambigua e millantata quando La consideriamo realizzare i nostri bisogni narcisistici, anche se ammantati di buone intenzioni filantropiche o religiose.
Tu mi dirai: e con queste belle parole? È vero! Nel Medio Oriente (come in molti altri luoghi) appare persa la speranza e, nelle cose del mondo, quando gli sforzi umani vengono meno, l’estrema risorsa sembra la forza. Nelle cose di Dio, invece, – non dimentichiamocene – l’estrema risorsa è persistere in tutto ciò di cui la maggior parte delle persone non sperimenta che un riflesso, se rifugge la croce di Cristo.
Ne abbiamo traccia in certe pagine oscure della Scrittura. Non si pensa forse che il patriarca Isacco, il primo sopravvissuto, sia lì a insegnare agli altri a sopravvivere, a ricominciare e continuare a credere?
Una frequentazione un po’ più approfondita di noi stessi – noi cristiani! noi che ci consideriamo il nuovo Israele! – forse ci potrebbe aiutare a comprendere che non basta certo un documento conciliare o chiamare gli ebrei (sbagliando) fratelli maggiori per sentirci a posto. Dovremmo, invece, farci carico del segno escatologico. tragico e immeritato, postoci dinnanzi dalle sconvolgenti vicende del giudaismo del XX sec.
Segno particolare per noi cristiani che tanto abbiamo perseguitato i giudei.
Noi che in questi tempi terribili ci lasciamo confondere da una maschera della misericordia adottata da una volontà autoritaria per incenerire la coscienza della nostra identità cristiana e ci lasciamo condurre su sentieri di totale assimilazione in una chiesa ridotta a un locale di terz’ordine che neppure la bellissima e altrettanto infelice Gilda si sarebbe mai sognato di frequentare.
tuo
don Aldo