Una lettera da un amico
Caro X,
osservando gli avvenimenti nella chiesa di Roma l’animo si dibatte tra il tragico e il ridicolo nel constatare le azioni di una classe clericale protesa nella corsa a pensare le parole del Capo prima ancora che lui le abbia immaginate. Destinata alla frustrazione, però, perché l’abisso… invoca l’abisso.
Ascoltando questi prelati dialogare con il mondo (la loro unica missione) si scopre con sgomento che il nome di Cristo è sempre più sottaciuto, se non omesso del tutto.
Come risultano ben profetiche quelle parole di Paolo (1Cor 12,3b): Nessuno può dire Signore Gesù, se non grazie allo Spirito Santo.
Il solito sconfortato, mi dirai tu.
Ebbene, l’altro giorno ho ripreso in mano l’amatissimo Genesi e l’attenzione è caduta su un versetto che tende a scomparire, ma possiede l’utilità della cerniera (Gen 23, 2-3): Sara morì a Chiriat-Arba, l'attuale Hebron, nel paese di Canaan; e Abramo piangeva per Sara e la piangeva. Poi Abramo si alzò dal suo morto.
Gli antichi commentatori spiegano che l’anima di Sara era volata via da lei perché il suo cuore era stato spezzato di fronte alla terribile esperienza della legatura di Isacco.
Abramo piangeva e piangeva. Dopo la terribile esperienza del monte Moirah, ecco la morte di Sara. Piangeva perché lei aveva assaporato la morte e piangeva perché il suo sole era tramontato, cioè la sua benigna influenza sulle persone che la circondavano.
Ciò che mi ha colpito maggiormente è il versetto: Abramo si alzò dal suo morto. Gerolamo traduce Cumque surrexisset ab officio funeris (quando Abramo si alzò dai doveri collegati al cadavere/celebrazione funebre). Officium esprime l’idea del dovere morale, politico e religioso con una sfumatura – positiva – di fedeltà e sottomissione. Con la sua traduzione, Gerolamo ci accompagna per mano alla comprensione. Un rimando indiretto al risorgere da tutto ciò che significa un funerale, cioè il venir fuori da un momento assai complesso: un rito pubblico con cui si sciolgono dei fili e se ne allacciano altri. L’inizio dell’elaborazione del dolore privato.
Abramo non si disfa nel suo dolore, si alza e mette in atto delle azioni precise: cerca un luogo per seppellire sua moglie e si dà da fare per trovare una moglie per suo figlio, già grande e non ancora sposato. Due precise benedizioni bibliche: terra e discendenza.
Mi domanderai cosa vuol dire tutto questo? Vedi, alcuni di noi guardano la corsa verso il baratro che ‘i pastori’ stanno facendo compiere alla chiesa e si arrabbiano e si affliggono. Sogniamo o cerchiamo, più o meno tutti, il ritorno al passato, ma è la direzione giusta? Ne abbiamo il diritto?
Prima costruiamo il futuro e poi, se riterremo che ne varrà ancora la pena, potremo piangere le glorie perdute del passato.
Coltivando solo il rimpianto del passato, diventeremo… statue di sale (Gn 19,26).
Se c’è una grande lezione per cui dobbiamo essere grati all’attuale vescovo di Roma è che l’assolutizzazione della sua individualità, da lui perseguita in modo feroce, è ostensione di uno spaventoso seme di desertificazione e distruzione.
Il volto della chiesa che ne consegue appare come un’inversione grottesca dell’Uomo della Sindone.
Chi cerca Dio, invece, cammina a ritroso verso l’atto creativo che l’ha chiamato alla vita. Questo cammino è il dovere che dobbiamo compiere. Capire come tradurlo in concreto può richiedere un’opera di molti anni e altrettante false partenze. Per ciascuno, però, Dio ha una chiamata precisa, un futuro ancora non realizzato e che attende ciascuno di noi.
In una chiesa allucinata e allucinante, alziamoci anche noi dal nostro dolore che è una morsa mortale, un deserto che può essere spaventoso perché è un deserto e così sembrano, infatti, la maggior parte delle chiese intorno a noi.
In una chiesa in cui la misericordia è venduta come i telefonini, in una chiesa che ha tagliato tutti i legami con il passato per impedire di pensare, non scambiamo questo tragico evento di paralisi come punto finale del nostro essere cristiano, ma come una porta d’accesso alla conoscenza.
E’ fatica enorme tornare a pensare dopo che abbiamo acquisito l’abitudine ad essere ammaliati.
Il ‘pensare’, invece, è dimensione concreta della Fede, momento irrinunciabile di forza per coltivare tranquillità e capacità di rimanere fermi perché Dio torni ad abitare la Sua casa.
tuo
Don Aldo